IL TESTO E L’AUTRICE
Orfeo è il
poeta mitico di origine tracia che con il suo canto era capace di smuovere le
pietre e di ammansire gli animali feroci. Quando sua moglie Euridice fu morsa
da un serpente e morì avvelenata, Orfeo, che l’amava molto, scese nell’Ade
per ritrovarla. Con il suo canto commosse Persefone, dea degli Inferi, che
gli promise di restituirgli Euridice mandandola fuori dell’Ade sui suoi passi
mentre Orfeo ritornava sulla terra. Questo però a patto che durante il
viaggio lui non si voltasse mai a guardarla. Ma Orfeo non poté resistere al
desiderio di assicurarsi che la donna amata lo seguisse. Quando però si voltò
a guardare, Euridice scomparve. La pulsione di Orfeo è quindi quella
di voltarsi indietro,
non resistendo alla tentazione di guardare le persone amate, per
fissare i loro tratti, la loro esistenza, almeno con le parole, mentre i loro
volti tendono a svanire per l’inesorabile fluire del tempo. Quello di Orfeo,
quindi, viene letto qui come gesto della memoria e del piacere di ricordare,
tracciando e delineando momenti di vita trascorsa prima che scompaiano
nell’oblio. Perché ogni cosa vive finché c’è qualcuno o qualcosa che la
ricordi.
BARBARA DE MIRO
D’AJETA, allieva della
Scuola Normale Superiore di Pisa, ha insegnato Storia del Teatro nelle
Università di Genova, Sassari, Salerno e all’Orientale di Napoli. La sua
precoce vocazione poetica, coltivata fin dall’adolescenza, l’ha spinta a
pubblicare le raccolte Qualcosa partì
dal mio cuore, C.E.S.P., Napoli-Foggia-Bari, 1960, L’isola d’oro, Gastaldi, Milano, 1963, In margine, Bastogi, Foggia, 1981.
Ora ritorna a
pubblicare questa silloge, che abbraccia un arco di tempo ampio, dal 1980 a
oggi. Tra le molte pubblicazioni di critica teatrale di Barbara de Miro
d’Ajeta, hanno ricevuto notevoli consensi Eduardo
De Filippo, Liguori, Napoli, 2002, Il
seme, il germoglio e il fiore (Pirandello
fra biografia, narrativa e teatro), Aracne, Roma, 2008.
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